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Fitoterapia Applicata
Integrazione nutrizionale terapeutica

In questa pagina: cenni storici - peculiarità - studio del "terreno"

Storicamente, fin dalla preistoria l'uomo ha imparato a curarsi con le piante, che rappresentano quindi la forma più antica di medicina. Reperti archeologici vecchi di circa 60.000 anni mostrano come perfino l’uomo di Neanderthal conoscesse e utilizzasse achillea, altea e altre piante curative. Il Rgveda, il più antico dei testi Indoeuropei Veda risalente al 4500 a.C., cita circa settanta erbe curative, tra le quali zenzero, cannella, senna, rauwolfia; oltre 3000 anni prima di Cristo i Cinesi disponevano già di oltre duecento prescrizioni a base di qualche dozzina di erbe note ancora oggi per le loro virtù terapeutiche; nel papiro di Ebers, risalente all’Egitto del 1500 a.C. circa, si arriva a descrivere 500 piante medicinale, tra le quali circa un terzo riconosciute utili (tra cui aglio e cipolla) ancora oggi ufficialmente dalla medicina moderna. Importanti nozioni fitoterapiche derivano dai Fenici, dagli Ebrei e naturalmente dai Greci e dai Romani. Tutte le civiltà nel loro susseguirsi hanno lasciato segni del loro utilizzo delle piante medicinali: la civiltà assiro-babilonese con le tavolette di Ninive, la civiltà ebraica con la Sacra Scrittura, la civiltà egizia con il papiro di Smith, la civiltà greca con gli scritti di Aristotele, Ippocrate, Teofrasto, Mitridate, la civiltà romana con quelli di Catone, Dioscoride, Galeno (la cui "teoria degli umori" insieme altre sue opere diedero impronta ai secoli successivi), la civiltà araba con la comparsa delle prime farmacie e del commercio di spezie, profumi e coloranti, la civiltà medievale con la nascita delle prime scuole di medicina e nei monasteri degli orti botanici dove si coltivano le piante medicinali. La medicina orientale fonda le sue radici nella filosofica taoista dei principi opposti e complementari di Yin e Yang. In Occidente si basa sulla “Dottrina delle Signature” (concetto rielaborato da Paracelso nel 1500 circa) in cui e virtù terapeutiche dei vegetali vengono dedotte da una similitudine di forme con il corpo umano.
La fitoterapia moderna trae le sue origini nel periodo rinascimentale con la nascita delle prime scuole mediche laiche e delle prime università (Scuola medica salernitana sec. XI-XIII, Università di Montpellier sec. XII). Paracelso, i Medici, gli Estensi, Leonardo da Vinci favoriscono la ricerca. Si assiste a un progressivo allontanamento dalla sacralità e dall’empirismo degli alchimisti a favore di una verifica scientifica tramite mezzi di indagine sempre più sofisticati fino a giungere allo studio sistematico delle piante e la determinazione di regole rigorose per la coltivazione e la raccolta delle erbe medicinali a cura di Carlo Linneo (1707-1778 d.C.).

Riferendoci alle peculirità della fitoterapia, indiscutibilmente la fitoterapia rappresenta ancora oggi una disciplina medica importante nonché quella più utilizzata dalla popolazione. Le cifre parlano chiaro: circa l’80 % dell’umanità si rivolge a metodi naturali per curarsi (in particolare in Cina, India, Africa); sono circa 13.000 le piante impiegate in terapia nel mondo (meno di 1/10 in Europa e USA) anche se solo lo 0,5% delle circa 300.000 specie vegetali presenti sulla terra (molte e importanti di esse in via di estinzione) è stato indagato scientificamente. Pochi sono ancora gli studi rigorosamente clinici ma esistono importanti esempi di rimedi naturali in biomedicina o medicina allopatica. La Fitoterapia si è evoluta in 3 tronconi fondamentali:
1) Popolare: empirica, analogica (fondata sulle analogie), utilizza tisane alimentazione (un po’ folcloristica ma che va comunque in qualche modo tenuta presente);
2) Biomedica: strettamente legata al “evidence based”, non di terreno, utilizza estratti standard e principi attivi isolati, aderente 100% quindi ai canoni della medicina classica;
3) Funzionale o Integrata: quella auspicata, ossia che coniuga tradizione ed “evidence based” (sa guardare alla specificità della singola persona utilizzando varie preparazioni).
La fitoterapia è a favore della scienza, è proprio grazie allo sviluppo scientifico che la fitoterapia è divenuta credibile e propositiva, rivisitando un patrimonio antichissimo di conoscenze in adesione ai principi scientifici. La fitoterapia pone in primo piano il rapporto fra fitocomplessi e individuo. L’individuazione del profilo completo di una pianta (biotipologia) aumenta la specificità della terapia. Questo approccio (caratterizzazione biotipologica dei rimedi) può migliorare anche l’efficacia e l’accettabilità di terapie farmacologiche.
La fitoterapia non è medicina alternativa (in Italia è classificata come Medicina Non Convenzionale MNC), usa specifici rimedi vegetali per prevenire, risolvere o correggere patologie ben determinate (talvolta anche gravi) anche in associazione con farmaci.
Rispetto alla terapia farmacologica e alla biomedicina allopatica:
- si presta ad un uso prolungato nel tempo grazie alla minore tossicità e alla maggior specificità dei rimedi usati:
- si presta alla profilassi/prevenzione di varie affezioni;
- si presta alla regolazione di squilibri occasionali (malattie disfunzionali, sindromi psicosomatiche o somatoformi e quindi con grossa componente psicologica nella loro origine e sviluppo e che spesso denotano una distonia neurovegetativa che va controllata e assistita) e alla terapia di problemi cronici (che non sempre trovano soluzioni nella medicina tradizionali);
- cura il rapporto terapeuta-paziente, a partire dall’ascolto evitando protocolli preconfezionati a favore di percorsi individuali potendo così realizzare una vera gradualità e personalizzazione della strategia terapeutica;
- considera la depurazione ed il drenaggio essenziali nel percorso terapeutico;
- favorisce la responsabilizzazione del paziente, rendendolo più solido nella sua voglia di recupero (empowerment) e nella sua aderenza alle terapie (compliance), considerando ciò uno strumento di guarigione;
- non si limita a risolvere un sintomo tramite un approccio sostitutivo (ad es. con insulina in caso di diabete) o compensativo/soppressivo (ad es. con antidolorifico) ma tende a ripristinare e consolidare un equilibrio (non si considera solo l’organo bersaglio ma la situazione generale), vuole ascoltare l’organismo, valutare le capacità di risposta, capire quali sono le risorse a disposizione dell’organismo a 360 gradi senza ostacolarle o inibirle ma assecondandole, rinforzandole e mobilitandole verso la guarigione (fiducia nella capacità di autoguarigione dell’organismo), si interessa ai rimedi di fondo (che guardano al vari sistemi di regolazione dell’organismo, alla soglia di tolleranza allo stress individuale, ai disturbi minori ecc.);
- non è quindi sintomatica ma può mitigare il dolore (a differenza dei farmaci di sintesi che mirano a farlo sparire) conservando il valore del sintomo e del riposo come forma autentica di terapia, evitando così anche il rischio di provocare situazioni irreversibili (come può accadere ad es. utilizzando un arto lesionato sotto effetto di antidolorifici);
- se correttamente utilizzata non presenta importanti effetti collaterali, o meglio secondari, in quanto questi ultimi vengono utilizzati per personalizzare sempre più la terapia (anziché considerarli effetti indesiderati) arrivando così a limitarli/eliminarli ottimizzando al contempo la terapia;
- non fa miracoli e va usata con giudizio (o evitata) nelle malattie gravi e/o acute.

Ippocrate nel “La natura della donna” così indica come il malessere non va legato a una sola causa eziologica circoscritta: “(…) Chi intende intraprendere in modo corretto la trattazione di questi argomenti (cioè la natura e le malattie della donna), deve cominciare innanzitutto dal divino, poi individuare le costituzioni fisiche delle donne, le età, le stagioni ed i luoghi nei quali vivono: i luoghi freddi predispongono al flusso, quelli caldi danno secchezza e ritenzione sanguigna”.

La proposta soppressiva o sostitutiva non deve essere l’unica risposta possibile, anche se nelle emergenze e in altri stati morbosi presenta una sua plausibilità e può risultare indispensabile. Quando il processo morboso va oltre la semplice disfunzione, con danni a cellule, organi o apparati si manifesta la patologia conclamata; solo in quest’ultimo caso è spesso necessaria la risposta inibitoria o sostitutiva fornita dai farmaci di sintesi di cui vanno sempre tenuti presenti alcuni limiti:
– rischio di diluizione o spostamento dell’aggressione patogena su livelli differenti (non si rimuove causa di fondo con conseguente rischio di complicazioni);
– l’azione sostitutiva mortifica la reattività biologica naturale con conseguente rischio di effetti rebound e di invio di segnali fuorvianti al sistema che cerca di riequilibrarsi;
– assenza di intervento drenante e rischio di maggiore congestione d’organo (non basta bere per drenare).
La “restitutio ad integrum” dovrebbe essere fra gli obiettivi della medicina. Il ragionamento a monte degli interventi nella medicina naturale non è tanto usare rimedi più o meno vegetali ma osservare, rispettare e, se possibile, favorire le risposte omeostatiche ed allostatiche (quelle più generali ossia dei vari sistemi dell’organismo nel loro insieme) dell’organismo, per favorire i processi di riparazione e autoguarigione.

Il concetto basilare resta lo studio del "terreno". L’organismo va valutato secondo tre differenti punti di vista:
1) Assetto strutturale potenziale e geneticamente determinato (genotipo);
2) Espressione concreta funzionale, frutto degli equilibri raggiunti (fenotipo);
3) Condizioni ambientali, stile di vita, “abitudini psichiche” (ambiente).
L’equilibrio di un sistema organico è infatti dinamico e metastabile, frutto di continui successivi aggiustamenti, nel caso di organismi complessi come l’essere umano, di complicati e sofisticati sistemi di regolazione. Lo stato di salute è quindi la risultante finale di un certo numero di aggiustamenti determinati da fattori quali:
- stato fisiologico e relativo livello di efficienza nel funzionamento di cellule od organi;
- condizione nutrizionale generale (riguardante macro e micronutrienti);
- energia/lavoro di adattamento richiesto da stress fisico/fisiologico e/o psichico.
Ogni equilibrio raggiunto possiede un suo preciso costo metabolico. Quando tale costo diviene insostenibile si rompe lo stato di equilibrio e inizia il processo morboso.
Ogni patologia risulta pertanto la manifestazione di almeno tre fattori:
- aggressività del fattore esogeno inducente;
- efficienza difensiva complessiva dei sistemi endogeni;
- situazione genetica attuale.
La combinazione/interazione di questi elementi determina la situazione risultante. Salvo rari casi, non si effettua una corretta terapia solo individuando e agendo su un “organo bersaglio”, occorre ma preservare/sostenere il sistema definito “terreno”. Terreno è l’insieme dei fattori costituzionali e acquisiti che preesistono alla comparsa della malattia e che possono favorirne l’insorgenza o condizionarne la prognosi (previsione sul decorso e soprattutto sull'esito di un determinato quadro clinico). Il terreno funge di fatto da sistema “tampone” riguardo tutti ciò che è in grado di apportare qualche effetto sul nostro essere. Intervenire sullo stile di vita (e sull’ambiente) deve essere parte integrante dell’atto terapeutico; ad es. in caso di patologie croniche del benessere non si ottiene di norma un miglioramento senza una modifica dello stile di vita.

La fitoterapia va quindi considerata come un sistema terapeutico che considera l'essere nel suo complesso (microbiota incluso) e che su esso può avere una importante influenza benefica.

Approfondimento e Bibliografia (pdf)

Nel prossimo e ultimo capitolo una lista di consigli alimentari.

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